Il termine “passione” indica un sentimento impetuoso. In questa particolare settimana con la parola Passione indichiamo la sofferenza e l’agonia patita da Gesù Cristo morto e risorto per l’umanità.

Alfonso Maria de Liguori affermava: “Diceva S. Agostino che vale più una sola lagrima sparsa per memoria della Passione di Gesù, che un pellegrinaggio sino a Gerusalemme ed un anno di digiuno in pane ed acqua. Sì, perché a tal fine il nostro amante Salvatore ha patito tanto, acciocchè vi pensassimo; poiché pensandovi non è possibile non infiammarsi nel divino amore: l’amore di Cristo ci spinge (2 Cor 5, 14). Gesù da pochi è amato, perché pochi son quelli che considerano le pene che ha patito per noi; ma chi le considera spesso, non può vivere senz’amare Gesù: l’amore di Cristo ci spinge. Si sentirà talmente stringere dal suo amore che non gli sarà possibile resistere a non amare un Dio così innamorato che tanto ha patito per farsi amare”.

Rivivere la Passione di Cristo, farne memoria, significa farsi toccare dalla sofferenza che Egli ha vissuto, comprenderne la sua umanità, la sua realtà. Gesù, il figlio di Dio, ma pur sempre un giovane trentenne, è stato umiliato pubblicamente, spogliato e deriso, è stato in una prigione scavata nel sottosuolo, solo e sofferente. Ha portato su di sé la Santa Croce per mezzo della quale sarebbe morto. Ed ha sofferto tremendamente su quella croce, che troppo poco adoriamo e contempliamo.

Fare memoria è l’unico modo che ci è dato per vivere e con-vivere quella Passione, tenendo insieme il racconto e l’esperienza. Bisogna percorrere per un tratto la via dolorosa, bisogna sentire il peso della croce, bisogna spogliarsi per sentirsi alleggeriti dal superfluo, bisogna vivere la prigione per sperimentare la solitudine, e percepire il deserto per resistere alle tentazioni del mondo, soprattutto bisogna sperare per vivere una rinascita.

Nella nostra vita appena patiamo qualche male, la prima domanda che ci poniamo è “perché?”. Cerchiamo il senso da ciò che appare anzitutto un non senso. Noi non ci sentiamo fatti per il dolore, ma per la gioia: questa è la nostra vocazione. Ma, paradossalmente, l’amore riesce a legare il dolore con la gioia! Questo legame tra dolore e gioia, ci viene offerto proprio dalla memoria della Passione di Cristo e si esprime nella “comunione”. Infatti, il sapere che Dio, nella sua perfezione, abbia sofferto, ci fa vivere quella comunione anche nel dolore. La croce diventa, dunque, un soccorso che Dio ci offre per aiutarci a portare con pazienza il nostro dolore, senza dimenticare che il traguardo ultimo resta pur sempre la gioia senza fine. Infatti, il dolore e la sofferenza sono parte di una gioia più grande, la resurrezione. Questa Pasqua atipica credo abbia dato la possibilità a tutti di potersi interrogare sul senso o sul non senso della passione, della sofferenza, della solitudine, ma anche della speranza e della ricostruzione. Questo tempo che stiamo quasi sfidando rappresenta per moltissimi un tempo di passione, ma vi auguro e mi auguro che sia anche un tempo di riscoperta, di speranza e di rinascita.

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